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Giugno 17, 2020“L’Alzheimer è particolarmente triste e orribile perché il paziente perde il proprio «io» molto prima che il corpo muoia.”
Jonathan Franzen
La pet therapy come sostegno contro l’Alzheimer
La malattia di Alzheimer è, attualmente, la forma più diffusa di demenza (57%) ed è tra le patologie più riscontrate nella popolazione anziana occidentale.
Essa prende il nome dal neurologo tedesco (Alois Alzheimer) che per primo descrisse i sintomi e gli aspetti neuropatologici che la caratterizzano. Il suo esordio è spesso subdolo e sottovalutato; il suo decorso può essere suddiviso in diverse fasi, ognuna delle quali è caratterizzata dal declino di determinate funzioni superiori e dalla comparsa di segni neurologici.
- Nella prima fase è possibile notare disturbi della memoria (in particolare per quanto riguarda avvenimenti recenti), disturbi del linguaggio di tipo anomico (difficoltà nel denominare oggetti o persone), perdita d’interesse verso l’ambiente circostante; in questa fase il paziente è consapevole della presenza di questi deficit e questo può indurlo in uno stato depressivo.
- Nella seconda fase il deficit cognitivo aumenta, manifestandosi con modificazioni importanti della personalità e disturbi delle funzioni esecutive come il deficit di attenzione, della capacità di giudizio e della programmazione.
- Nella terza fase il deficit di mnesico si estende coinvolgendo anche la memoria dei fatti più remoti, il riconoscimento dei familiari e degli oggetti di uso comune. Il paziente non è più in grado di prendersi cura di se stesso e necessita quindi di sostegno costante.
- Nella fase finale abbiamo un decadimento cognitivo globale che spesso si accompagna a un peggioramento delle condizioni di salute generale del paziente.
Il decorso di questa malattia è molto variabile e può andare dagli 8 ai 15 anni.
Molti studi ormai sostengono l’efficacia della Pet therapy nel trattare persone affette da Alzheimer. Essa, affiancandosi come co-terapia alle terapie classiche, ha lo scopo principale di migliorare la qualità di vita del paziente.
L’interazione con l’animale permette un maggiore coinvolgimento dei pazienti durante l’attività, e gli studi dimostrano che tramite esse è possibile notare dei miglioramenti a livello cognitivo, fisico e psico-sociale:
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Fisicamente:
il prendersi cura di un animale (darli da mangiare, spazzolarlo, portarlo a passeggio) permette di migliorare le capacità motorie e sensoriali.
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Cognitivamente:
la presenza dell’animale aiuta a stimolare e migliorare il livello di attenzione, la comunicazione, l’interesse e la memoria.
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Psicologicamente:
l’animale facilita le interazioni sia tra i pazienti coinvolti nell’attività che con gli operatori, andando così a favorire un miglioramento nella percezione del benessere generale, dell’autostima e dell’autoefficacia.
Concludendo, non essendo ancora stata trovata una cura per l’Alzheimer, lo scopo delle attività assistite con l’animale diventa quello di ridurne l’impatto il più possibile, andando a stimolare le funzioni che questa malattia colpisce nel tentativo di rallentarne il più possibile il decorso.
In particolare nelle prime fasi della malattia questo tipo di attività permette di ottenere dei benefici importati per lo stato di benessere generale dei pazienti.
Per conoscere i servizi offerti alle persone anziane, v’invito a visitare la pagina di Killia
La pet therapy come sostegno contro l’Alzheimer
Valentina Sannino